In un’epoca in cui si è portati all’acquisto veloce, magari nella breve pausa pranzo, e senza pensarci su troppo per non perdere l’occasione del momento, forse stiamo iniziando ad accorgerci dell’impatto che ciò che compriamo ha sul pianeta. E a volte può esserci utile fare qualche conto in più. Se vi state chiedendo come, il cost-per-wear ci può aiutare.

 

Un problema globale

La maggior parte dei vestiti acquistati oggi vengono dal fast fashion, dove capi di bassa qualità sono prodotti in massa da lavoratori pagati con salari incredibilmente bassi in modo che i rivenditori possano esporli a prezzi imbattibili. Questo tipo di produzione è responsabile delle condizioni disumane di moltissimi lavoratori e di un inquinamento dalle conseguenze drammatiche. Tutto per la costante richiesta di abiti a basso costo.

Ogni anno produciamo miliardi di nuovi indumenti, con una quantità di rifiuti tessili che si stima superare i 92 milioni di tonnellate l’anno, di cui il 73% sarà bruciato o sepolto in una discarica e meno dell’1% riutilizzato. Questi vestiti sono fatti al 60% di fibre sintetiche ricavate dal petrolio e il 35% delle microplastiche che entrano nell’oceano provengono da queste. Inoltre, la grande quantità di energia utilizzata rende l’industria dell’abbigliamento e delle calzature responsabile dell’8%, almeno, dell’inquinamento globale

Un aspetto interessante in tutto ciò è che se il numero dei capi posseduti è aumentato, è però diminuita la spesa media per persona. In Europa si è passati dal 30% degli anni ’50 a circa il 12% del 2009, con un picco del 5% nel 2020. I costi bassi ovviamente facilitano gli acquisti, che sono aumentati del 40% nel periodo 1996-2012. Ma soprattutto, anche se si compra di più, si usa di meno: il numero di volte in cui un capo viene utilizzato è diminuito del 36% rispetto al 2005.

Dare il giusto valore

Qui entra in gioco il concetto di Cost Per Wear. Si tratta di una semplice idea per cui il valore di un vestito è direttamente correlato a quanto lo si usa. Si può calcolare il CPW prendendo il prezzo più il costo della manutenzione e dividendolo per il numero totale di volte che l’articolo è stato usato.

Se, per esempio, si compra un pail da 100 euro e lo si indossa per 600 volte negli anni, spendendo 40 euro per farlo riparare, significa che sarà costato 23 centesimi ogni volta che è stato indossato. In confronto, un pail pagato 20 euro e usato 50 volte perché meno resistente e di scarsa qualità, varrà 40 centesimi a uso. Perciò, anche se il primo pail costa sette volte il secondo, fornisce dodici volte l’utilità ed è quindi più economico nel lungo periodo.

Grazie a quest’idea è più immediato capire perché scegliere un prodotto di qualità, anche se più caro, a uno a basso costo. Questo potrà essere usato più e più volte, e persino riparato prima di essere sostituito, e in questo modo alla fine si avrà un risparmio economico per noi e un beneficio per l’ambiente. Un fattore del cost-per-wear è senza dubbio la durabilità, per cui si arriva ad apprezzare gli abiti che si possiedono per la loro resistenza e per la quantità di imprese affrontate insieme; e proprio per questo si è più disposti ad aggiustarli che a comprarne di nuovi.

Fare la differenza

Il cost-per-wear può essere un chiaro esempio di come le soluzioni possano, e debbano, venire da noi come consumatori. Scegliere un certo tipo di prodotto piuttosto che un altro può fare la differenza in termini di impatto sul pianeta, specialmente se saremo tutti a cambiare abitudini e a chiedere alle aziende di adeguarsi. L’idea del Cost Per Wear può dare una nuova visione del costo delle cose che possediamo e portare a uno stile di vita complessivamente più sostenibile.

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