L’agroecologia consiste nell’applicazione dei principi di tutela ecologica per la produzione di alimenti, carburante, fibre e farmaci, nonché alla gestione di agro sistemi, secondo gli Indirizzi dell’Organizzazione Mondiale per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) sull’agroecologia.
L’agroecologia non utilizza un metodo di coltivazione specifico: si avvale di tecniche differenti (agricoltura biologica, biodinamica, naturale, permacultura) e delle più avanzate tecnologie agronomiche per garantire la compresenza fruttuosa di agricoltura e diversità biologica. Gli obiettivi sono molteplici:
Per far sì che il trattato entrasse in vigore, era però necessario che questo venisse sottoscritto da almeno 55 Nazioni, e che queste rappresentassero almeno il 55% delle emissioni di gas serra di origine antropica a livello globale. Per questo motivo, il protocollo di Kyoto entrò in vigore solamente il 16 febbraio 2005, grazie alla ratifica da parte della Russia.
Attualmente, fanno parte dell’accordo 192 Paesi e un’organizzazione di integrazione economica regionale. Questi membri sono presenti in tutto il globo, ad eccezione degli Stati Uniti d’America, che hanno deciso di non ratificare l’accordo, nonostante siano responsabili del 36,2% del totale delle emissioni, e del Canada, che ha ritirato l’accordo nel 2013.
L’impegno degli Stati membri si focalizza sull’attuazione di politiche industriali e ambientali volte alla riduzione quantitativa delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai propri livelli di emissione nel 1990.
La prima fase del protocollo ha avuto una durata di quattro anni (2008-2012). I Paesi industrializzati si impegnavano con questa a ridurre le loro emissioni annue del 5,2%. I Paesi in via di sviluppo erano esenti da questo obbligo.
Dopo il rinnovo dei negoziati, sono stati fissati gli obiettivi per “Kyoto II”, il secondo periodo di impegno, che va dal 2013 al 2020. Questa volta hanno partecipato anche altri Paesi europei e l’Australia. Durante questo periodo, i membri si sono impegnati a ridurre le loro emissioni di almeno il 18% rispetto ai livelli del 1990. In particolare, gli Stati dell’UE (insieme all’Islanda) hanno fissato il proprio obiettivo di riduzione al 20%.
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