I confronti con esperti del settore, come in questa intervista, possono servire per portare alla luce alcune nozioni, come quella della sufficienza energetica, che sono delle chiavi per realizzare i cambiamenti di cui abbiamo bisogno.
La prima volta che ho letto la parola negawatt ero molto incuriosita. In un certo senso mi sembrava controintuitiva. Ci può spiegare che cosa significa e qual è la rilevanza di questa nozione strettamente legata alla sufficienza energetica?
Yamina Saheb: La parola negawatt è stata inventata per errore. Dopo una conferenza tenutasi a Montreal nel 1989, lo scienziato americano Amory Lovins notò un typo nel rapporto redatto dalla Colorado Public Utilities Commission report in merito alla conferenza. Al posto di megawatt, nota unità di misura dell’energia, era stata riportata la parola negawatt. Quando se ne accorse, Amory Lovins disse “Oh, questa è la parola giusta”.
Poi in Francia un gruppo di ingegneri edili energetici, hanno usato questa parola per dare nome alla loro ONG – négaWatt – che sviluppò il primo scenario di transizione energetica che considera la sufficienza.
Oggi in Francia sono stati elaborati 3 scenari di transizione energetica che considerano la sufficienza. Abbiamo uno scenario della French Energy Transition Agency e uno scenario che include misure di sufficienza della Electricity Transmission Organization. Il lavoro più completo ad oggi in termini di scenari è quello svolto dall’Agenzia Francese per l’Energia, perché include quasi tutti i settori, e soprattutto è estremamente ben supportato dalla letteratura scientifica.
Non si tratta dunque di una semplice intuizione e molti esperti continuano a lavorarci. Hanno appena pubblicato, ad esempio, un’analisi di scomposizione degli scenari che hanno elaborato in cui mostrano l’importanza della sufficienza.
Ciò che è importante tenere a mente è che tutti questi tre scenari mostrano che senza politiche di sufficienza non possiamo decarbonizzare. E questo è esattamente ciò che abbiamo dimostrato nel rapporto dell’IPCC nel capitolo dedicato all’edilizia. Purtroppo, la sufficienza è stata discussa solo in questo capitolo. Avrebbe dovuto essere una discussione olistica, ma non è stato così. Noi abbiamo dimostrato che se escludiamo la sufficienza, trascuriamo un potenziale di riduzione delle emissioni negli scenari e nelle politiche.
Se ho capito bene, il negawatt è un concetto chiave in ottica di sufficienza perché si tratta di un modo per misurare la riduzione della domanda di energia. Rappresenta quindi una logica molto diversa da quella a cui siamo abituati e forse per questo richiede del tempo e un grande lavoro di divulgazione per essere assimilata, affinché guidi effettivamente le nostre abitudini e scelte di consumo quotidiane.
Yamina Saheb: Sì, per diffondere questo concetto, ciò che dobbiamo fare è portarlo negli strumenti politici dell’Unione Europea. Nell’UE le politiche climatiche ed energetiche che riguardano la domanda sono definite a livello unitario, ma sfortunatamente la parola sufficienza non compare in nessuno degli strumenti vincolanti dell’UE. Ha fatto la sua prima comparsa nello Strategic Foresight Report pubblicato a luglio dalla Commissione europea.
Dobbiamo quindi fare in modo che il prossimo Parlamento, la prossima Commissione incorpori la sufficienza nei suoi scenari. E quando avremo ottenuto questo, potremo vedere che c’è la potenzialità di risultati importanti.
Nel caso degli edifici, in base alle mie stime, in Unione Europea potremmo ridurre le emissioni del 30% in più se incorporassimo politiche di sufficienza. Non possiamo più permetterci di non ridurre le emissioni, dobbiamo sfruttare qualsiasi potenziale di riduzione che abbiamo.
Ecco perché abbiamo bisogno di scenari della Commissione che prendano in considerazione la sufficienza. In questo modo le persone si renderanno conto della sua importanza e ne discuteranno.
Si tratta di una strada a doppio senso, no?. Se questo concetto viene integrato nella politica, allora vedremo crescere la consapevolezza pubblica su questo concetto, e dall’altro canto la società civile e hub di esperti come i think tank possono portare loro stessi questi concetti sul tavolo dei responsabili politici.
Yamina Saheb: Sì, dobbiamo farlo e dobbiamo farlo molto rapidamente, perché non c’è più molto tempo. La finestra di opportunità per ridurre le nostre emissioni per evitare di finire in una zona davvero oscura in termini di cambiamento climatico si restringe ogni giorno di più, ed è per questo che dobbiamo accelerare. Non abbiamo il tempo che il concetto di negawatt ha avuto in Francia per diventare mainstream grazie a 23 anni di discussione.
Inoltre, oggi la difesa della sufficienza è più solida dal punto di vista scientifico rispetto a 23 anni fa. Per questo non dovrebbe essere così complicato inserirla nelle politiche, ma dobbiamo insistere.
Mentre ci auguriamo che questa spinta porti a risultati concreti il prima possibile, il cambiamento climatico sta avendo un grande impatto su tutti, ma non ovunque allo stesso modo. L’intensità varia molto da paese a paese e non tutti sono ugualmente in grado di difendersi da questi impatti. Allo stesso tempo tutti noi dobbiamo contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici, ma non tutti siamo attrezzati allo stesso modo. Quindi, il tipo di azioni che posso mettere in atto e il potere che ho per mitigare il cambiamento climatico è molto diverso da quello di una persona che vive in condizioni socioeconomiche e politiche molto diverse. Quindi, su questo punto, vorrei chiedere una sua riflessione su come la sufficienza si relazioni con il concetto di equità.
Yamina Saheb: Ti riporto la definizione che ho incluso nel rapporto dell’IPCC: “La sufficienza è l’insieme delle politiche pubbliche che evitano la domanda iniziale di risorse naturali (l’energia è una delle risorse naturali) mentre garantiscono il benessere di tutti (e questo è l’aspetto dell’equità) all’interno dei limiti planetari”.
Nel caso dei Paesi dell’UE (+ UK) è stato fissato un obiettivo di neutralità climatica entro il 2050. Ora questo obiettivo sarebbe raggiungibile entro il 2033 grazie a delle politiche di sufficienza, ma lo abbiamo spostato in là di 17 anni. Il divario tra il 2033 e il 2050 è uno spazio in cui ci arroghiamo il budget di carbonio di qualcun’altro.
In pratica stiamo colonizzando l’atmosfera. Dobbiamo rivedere il nostro pacchetto di politiche climatiche ed energetiche dell’UE. Non è sufficiente solo parlare di equità, che è ciò che abbiamo fatto finora. Dobbiamo metterla in pratica, e questo sarebbe molto vantaggioso per noi, perché significa accelerare l’uscita dai combustibili fossili. Dobbiamo essere più rigorosi nelle nostre politiche. Si tratta di generare un impatto positivo per noi [europei] e anche di giustizia dal punto di vista etico. Avrebbe un impatto positivo anche perché non saremo più (giustamente) accusati di aver colonizzato l’atmosfera.
Abbiamo l’opportunità di essere veri leader del clima in Europa, anche perché l’anno prossimo ci saranno le elezioni europee. Come cittadini, quello che possiamo fare è assicurarci di esercitare una pressione sufficiente per far sì che le persone che manderemo al Parlamento europeo siano le persone giuste, quelle che si batteranno davvero per la continuazione della vita su questo pianeta, e non quelle che rimanderanno l’azione per il clima.