World Wildlife Day – Cos’è la natura selvatica?
Nel 2013, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 3 marzo Giornata Mondiale della Natura Selvatica per celebrare gli animali e le piante selvatiche del mondo e sensibilizzare sul tema.
La natura selvatica si riferisce a tutti gli organismi viventi non addomesticati che abitano gli ambienti naturali, dagli animali e la vegetazione ai microrganismi. Essa è estremamente importante sia per le persone che per l’ambiente in quanto contribuisce al mantenimento della salute degli ecosistemi. Svolge un ruolo chiave nella regolazione dei processi naturali a tutti i livelli della catena alimentare, compresa la dispersione dei semi, il ciclo dei nutrienti e la struttura del paesaggio, e fornisce servizi di approvvigionamento sia alle comunità dipendenti dalle foreste che alle popolazioni urbane.
Nessuno sa di preciso quante siano le specie viventi sul nostro pianeta, con teorie che vanno da 3 milioni fino a 100 milioni. Da uno studio pubblicato sulla rivista PLoS Biology, si stima che esistano 8.700.000 specie, di cui 7.770.000 animali, 298.000 piante, 611.000 funghi, 36.400 protozoi e 27.500 cromisti.
Molte specie viventi rimangono ancora sconosciute, l’86% approssimativamente.
Boris Worm, curatore dello studio, commenta: “Conoscere il numero delle specie che vivono sulla Terra è oggi più importante che mai, dal momento che numerose attività umane stanno accelerando notevolmente i tempi di estinzione e potremmo trovarci a perdere numerose specie prima ancora di sapere della loro esistenza”.
Perdita di natura selvatica
Secondo un rapporto del WWF, l’umanità ha cancellato il 60% dei mammiferi, uccelli, pesci e rettili dal 1970. Altre analisi hanno rivelato che l’umanità ha distrutto l’83% di tutti i mammiferi e la metà delle piante dall’alba della civiltà e che, anche se la distruzione dovesse finire ora, ci vorrebbero 5-7 milioni di anni perché il mondo naturale si riprenda .
“Se ci fosse un calo del 60% della popolazione umana, sarebbe equivalente a svuotare il Nord America, il Sud America, l’Africa, l’Europa, la Cina e l’Oceania. Questa è la scala di ciò che abbiamo fatto”, ha detto Mike Barrett, direttore esecutivo di scienza e conservazione al WWF.
La più grande causa della perdita di natura selvatica è la distruzione degli habitat, molti dei quali per creare terreni agricoli. Tre quarti della terra sul pianeta è ora significativamente colpita dalle attività umane. L’uccisione per il cibo è la seconda causa, con 300 specie di mammiferi che sono state così portate all’estinzione, mentre gli oceani sono massicciamente sovra-sfruttati, dove si pesca per più della metà industrialmente.
La regione più colpita è il Sud e Centro America, che ha visto un calo dell’89% nelle popolazioni di vertebrati, in gran parte guidato dall’abbattimento di vaste aree di foresta ricca di fauna selvatica.
Nella savana tropicale chiamata cerrado, un’area delle dimensioni della Grande Londra viene abbattuta ogni due mesi, dice Barrett. “È un classico esempio di dove la scomparsa è il risultato del nostro consumo, perché la deforestazione è guidata da un’agricoltura in continua espansione che produce soia, che viene esportata in paesi come il Regno Unito per nutrire maiali e polli”.
Antropocene
Tutto ciò ci conduce al concetto di Antropocene, parola coniata negli anni ottanta dal biologo Eugene Stoermer e adottata nel 2000 dal Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen. Dal greco antico anthropos, con essa si indica “l’era dell’uomo”, ovvero una fase caratterizzata dall’impronta dell’essere umano sull’ecosistema globale.
L’uomo ha sempre influenzato l’ambiente in cui vive, ciò che differenzia la nostra era è che anziché limitarsi agli ambienti locali, l’umanità ha ormai impatti su tutto il pianeta.
L’alba dell’Antropocene segnerebbe la fine dell’Olocene, epoca nota per i suoi climi relativamente stabili e temperati che si stima essere iniziata 11.700 anni fa, al termine dell’era glaciale.
Riguardo al suo inizio ci sono diverse teorie. Alcuni scienziati dicono che risalga all’esplosione delle prime bombe atomiche, eventi che hanno innescato una rivoluzione tecnologica lasciando tracce radioattive nelle rocce della Terra. Altri dicono essere di origine più recente e come indicatore si riferiscono alla plastica che copre il pianeta e che, mescolata alle rocce, sta formando i propri strati geologici distinti.
Altri ancora puntano a un evento molto precedente: la colonizzazione del Nuovo Mondo nel XVI secolo, dove per la prima volta, il mondo è stato legato in un unico sistema economico globale. Uno dei risultati è stata l’omogeneizzazione della vita sulla Terra. Parassiti, piante e animali trasportati sulle navi hanno invaso gli habitat di specie isolate, mentre sempre più terra è stata destinata all’agricoltura.
Tornando ai giorno nostri, il cambiamento globale più noto è l’aumento dell’anidride carbonica atmosferica, con i conseguenti effetti sul clima. Mentre la natura selvatica viene relegata in aree sempre più piccole, oggi con appena il 25% delle terre libere dai ghiacci considerate selvagge rispetto al 50% di tre secoli fa.
Il vasto e crescente consumo di cibo e risorse da parte della popolazione globale sta distruggendo la rete della vita, creata in miliardi di anni, da cui la società umana dipende in ultima analisi per l’aria pulita, l’acqua e tutto il resto. Molti scienziati credono che il mondo abbia iniziato una sesta estinzione di massa, la prima a essere causata da una specie – l’Homo sapiens.
Programmi e azioni
A livello internazionale alcune iniziative sono state messe in moto per proteggere la fauna e la flora selvatiche e promuovere promuovere l’uso sostenibile e la conservazione delle risorse naturali.
Due esempi sono il Sustainable Wildlife Management Programme dell’Organizzazione degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (OACPS), che sviluppa approcci innovativi e collaborativi per proteggere gli ecosistemi e migliorare i mezzi di sussistenza delle popolazioni indigene e delle comunità rurali; e la Collaborative Partnership on Sustainable Wildlife Management (CPW), una partnership volontaria di 14 organizzazioni internazionali, che fornisce una piattaforma per affrontare le questioni di gestione di fauna e flora selvatiche che richiedono risposte nazionali e sovranazionali.
Una proposta di Simon Lewis e Mark Maslin e riportata sul Guardian è Half-Earth, idea semplice ma profonda che la riparazione ambientale potrebbe venire dall’allocare metà della superficie della Terra principalmente a beneficio di altre specie. Half-Earth è meno utopica di quanto sembri all’inizio, affermano gli autori, dato che siamo diventati una specie urbana. Il ripristino delle foreste su larga scala è già in corso, con impegni in 43 paesi per ripristinare 292 milioni di ettari di terra degradata alla foresta, 10 volte la superficie del Regno Unito. E i progetti di rewilding, dove grandi aree sono gestite per permettere ai processi naturali di funzionare, sono sempre più popolari.
Restituire le terre alla loro natura selvatica darebbe alle altre specie il diritto di soddisfare i propri bisogni. Questa sarebbe l’eredità di un nuovo capitolo della storia della Terra di cui potremmo essere orgogliosi.
Scritto da: Laura Persavalli
Fonti:
https://www.wildlifeday.org/about
https://www.ilpost.it/2011/08/27/quante-specie-ci-sono-sulla-terra/
http://www.scienze-naturali.it/ambiente-natura/ecologia-animale/quante-specie-esistono-al-mondo
https://www.lifegate.it/terra-antropocene
https://www.theguardian.com/commentisfree/cif-green/2009/jul/23/climate-change-humanity-change
https://www.rinnovabili.it/ambiente/antropocene-era-uomo-inquinamento-globale-333/
https://www.theguardian.com/science/2018/jun/10/colonialism-changed-earth-geology-claim-scientists
http://www.fao.org/news/story/en/item/1372487/icode/
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