Desertificazione e controllo della terra

La Palestina si trova in una delle regioni più calde del mondo ed è destinata a subire un riscaldamento ancora maggiore nei prossimi anni. Anche se israeliani e palestinesi abitano la stessa zona geografica, i palestinesi ne subiranno le conseguenze in misura maggiore.

Questo è dovuto al cosiddetto colonialismo verde, un insieme di misure per prevenire i disastri naturali e installare fonti rinnovabili a spese del controllo politico ed economico della terra, dell’acqua e di altre risorse naturali di un paese terzo – in questo caso, perpetrato da Israele sul territorio palestinese.

Gli indigeni palestinesi, senza controllo sulla loro terra o sulle risorse naturali, sono altamente vulnerabili alla crisi climatica. L’aumento delle temperature sta esacerbando la desertificazione e la scarsità di acqua e terra, mentre Israele ha preso il controllo dello sfruttamento di tutte le terre illegalmente sottratte ai palestinesi e di almeno il 60% delle terre del territorio palestinese occupato (OPT) nel 1967.

Foreste strategiche contro deforestazione selezionata

L’occupazione israeliana ha causato una notevole perdita di biodiversità nei territori palestinesi. Ciò ebbe inizio molti anni fa, quando Israele deviò le acque della Valle del Giordano, e quando gli alberi che circondavano i villaggi palestinesi distrutti vennero sostituiti da monocolture. Dal 1967, Israele ha sradicato 800.000 ulivi.

Mentre Israele si ritrae come una “democrazia verde”, un pioniere ecologico in tecniche agricole come irrigazione a goccia, ecologia del deserto ed energia solare, ha liquidato come “non sviluppate” le secolari e sostenibili pratiche agricole palestinesi, principalmente grano, orzo, patate, uva, olive e fichi non irrigati, e ha sviluppato piantagioni ad alta intensità di capitale per il commercio.

Con lo slogan “make the desert bloom“, il Fondo Nazionale Ebraico (JNF) si attribuisce il merito di aver piantato 250 milioni di pini europei ed eucalipti e di aver creato più di 1000 parchi. Tali foreste sono state strategicamente collocate sopra le rovine dei villaggi palestinesi distrutti, in modo che i pini a crescita rapida cancellassero la storia dell’esistenza palestinese e impedissero ai rifugiati di tornare alle loro case.

Queste specie straniere, che sostituiscono la vegetazione naturale di ulivi, carrubi e pistacchi, spesso non si adattano al suolo locale e richiedono più acqua.  Inoltre, questo “inverdimento” di Israele non si estende alla Cisgiordania e a Gaza, dove le infrastrutture dell’occupazione alimentano una diffusa deforestazione. Il 95% delle foreste di Gaza sono scomparse tra il 1971 e il 1999, a causa dell’estesa diffusione degli insediamenti e delle basi militari.

Organizzazione popolare per la giustizia ambientale

Per i palestinesi, il mantenimento e la protezione degli ecosistemi naturali diventa impossibile. L’impatto devastante degli insediamenti coloniali sull’ambiente e sulla vita dei palestinesi solleva questioni significative sulla possibilità di uno sviluppo sostenibile sotto l’occupazione. In effetti, ci sono ampi motivi per portare rivendicazioni di ingiustizia ambientale in forum locali, nazionali e internazionali.

In situazioni in cui il diritto internazionale fallisce, la società civile spesso interviene, come i Movimenti di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) in Sudafrica e in Palestina contro i rispettivi regimi di apartheid. Il movimento BDS e altre forme di resistenza civile o popolare possono fare la differenza.

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