L’avocado piace agli occidentali ormai da parecchi anni. Piace così tanto che ha conquistato le tavole di tutti i ristoranti più alla moda in Europa e Stati Uniti e ora esercita il suo fascino anche sui mercati orientali, più di tutti su quello cinese (1). Il superfood, grazie alle tanto decantate proprietà nutritive, ha visto triplicare la sua domanda negli Stati Uniti tra gli anni ’90 ed oggi, si stima che un americano medio ne consumi oggi più di 3 kg ogni anno (2). In Italia il consumo rimane più basso (in media, 0,2 kg pro capite annui (3)), ma la crescita di domanda è comunque impressionante: +261% tra il 2007 e il 2016.

Nonostante questo enorme successo, sono ormai risapute le critiche che vengono rivolte alla produzione su larga scala del frutto, considerata insostenibile sia da un punto di vista ambientale che sociale, a causa del largo impiego di risorse e dell’iniqua distribuzione del profitto. L’avocado è infatti una pianta che richiede condizioni agro-climatiche specifiche per crescere, le regioni dove questo frutto cresce naturalmente sono state brutalmente trasformate in piantagioni intensive, con un enorme impiego di acqua, pesticidi e fertilizzanti per supportarne la produzione.  Ad esempio, per la produzione di 1 kg di avocado, sono necessari 2.000 litri di acqua, più di 10 volte l’acqua necessaria per far crescere 1 kg di pomodori (4). Poi, visto che la produzione globale è principalmente intensiva, fertilizzanti e pesticidi non si lesinano, inquinando i terreni e le falde acquifere attigue alle piantagioni.

Il caso del Messico, uno dei paesi di cui l’avocado è originario insieme al Guatemala e agli altri paesi del Centro America, è dimostrativo di come la produzione intensiva possa creare gravi problemi all’ambiente e alle popolazioni locali. Un report dell’ INIFAP (Instituto Nacional de Investigaciones Forestales, Agricolas y Pecuarias) nel 2012 stimava che, a causa della domanda estera in vertiginosa crescita, la regione Messicana del Michoacán abbia perso 690 ettari all’anno di foreste autoctone tra il 2001 e il 2010, le quali venivano rimpiazzate con piantagioni intensive di avocado (5). Una tale operazione di deforestazione e sostituzione della flora locale ha ovviamente portato gravi perdite alla biodiversità e agli ecosistemi locali. Inoltre, l’alta domanda estera ha portato il prezzo degli avocado a crescere rapidamente, rendendoli un prodotto che le comunità locali non possono più permettersi, nonostante siano originariamente alla base della loro dieta (6).

Simili al caso del Messico, si potrebbe parlare del Cile (4) e della California (7), dove la produzione intensiva di avocado ha portato seri danni agli ecosistemi locali, ma la domanda sorge spontanea: se la produzione di avocado è così problematica, perché zeroCO2 pianta alberi di avocado nei suoi vivai in Guatemala?

La risposta a questa domanda è da trovare nei luoghi e nelle modalità con cui piantiamo i nostri avocado e nelle comunità con le quali collaboriamo.

Un modo di coltivare l'avocado, rispettoso e sostenibile.

Gli avocado di zereoCO2, così come tutte le altre specie che piantiamo, vengono prima coltivati in maniera biologica nei nostri vivai in Petén, vengono poi messi a dimora presso delle comunità o famiglie locali con le quali collaboriamo, che sono invitate e incentivate a proseguire con una coltivazione biologica. Questa tipologia di coltivazione garantisce il rispetto dei terreni che ospitano le piante, ed un minore impiego di risorse. Il Petén è una regione del Guatemala che ha visto tantissime delle sue foreste originarie venire distrutte per Dare spazio a piantagioni intensive di banane, papaya e olio di palma, che poi spesso non sono nemmeno state realizzate, lasciando ampi frammenti di terreno deforestato incolto e inutilizzato.

zeroCO2 collabora con le famiglie e le comunità che abitano queste zone, promuovendo la riforestazione di aree precedentemente deforestate con alberi quale l’avocado, autoctono ed originario.

Il doppio valore di un albero piantato con zeroCO2.

Oltre agli evidenti vantaggi ecologici (un albero di avocado compensa 800 kg di CO2 nell’arco dei suoi primi 15 anni di vita), queste piante vengono donate a famiglie locali, per le quali una pianta da frutto contribuisce alla sicurezza alimentare ed economica. Le famiglie infatti sono principalmente impegnate in lavori contadini, grazie ai quali possono permettersi di portare i loro prodotti nei mercati locali. Piantare avocado con zeroCO2 significa rispettare i terreni e gli ecosistemi locali, ma significa anche restituire alle comunità, i cui territori sono stati deturpati dai grandi produttori agricoli, un frutto tradizionalmente e culturalmente legato alla loro dieta e abitudini.

Per quanto l’avocado sia stato criticato ed etichettato come frutto insostenibile, è in realtà il modello di business sul quale si basa la sua odierna produzione che lo rende problematico da un punto di vista ambientale e sociale. In quanto consumatori occidentali, bisognerebbe acquisire consapevolezza riguardo alle conseguenze del modello di produzione intensiva e allo stesso tempo essere coscienti che esistono alternative, come la produzione biologica che sta fiorendo in questi anni in alcune zone della Sicilia e della Calabria (3). Intanto, noi continuiamo a impegnarci per la riforestazione con alberi di avocado in aree adatte, consapevoli dell’importanza della coltivazione biologica e del restituire un cibo storicamente tradizionale alle comunità con le quali lavoriamo.

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