L’avocado piace agli occidentali ormai da parecchi anni. Piace così tanto che ha conquistato le tavole di tutti i ristoranti più alla moda in Europa e Stati Uniti e ora esercita il suo fascino anche sui mercati orientali, più di tutti su quello cinese (1). Il superfood, grazie alle tanto decantate proprietà nutritive, ha visto triplicare la sua domanda negli Stati Uniti tra gli anni ’90 ed oggi, si stima che un americano medio ne consumi oggi più di 3 kg ogni anno (2). In Italia il consumo rimane più basso (in media, 0,2 kg pro capite annui (3)), ma la crescita di domanda è comunque impressionante: +261% tra il 2007 e il 2016.
Nonostante questo enorme successo, sono ormai risapute le critiche che vengono rivolte alla produzione su larga scala del frutto, considerata insostenibile sia da un punto di vista ambientale che sociale, a causa del largo impiego di risorse e dell’iniqua distribuzione del profitto. L’avocado è infatti una pianta che richiede condizioni agro-climatiche specifiche per crescere, le regioni dove questo frutto cresce naturalmente sono state brutalmente trasformate in piantagioni intensive, con un enorme impiego di acqua, pesticidi e fertilizzanti per supportarne la produzione. Ad esempio, per la produzione di 1 kg di avocado, sono necessari 2.000 litri di acqua, più di 10 volte l’acqua necessaria per far crescere 1 kg di pomodori (4). Poi, visto che la produzione globale è principalmente intensiva, fertilizzanti e pesticidi non si lesinano, inquinando i terreni e le falde acquifere attigue alle piantagioni.