La COP è di fatto l’organo decisionale supremo della UNFCCC. Come abbiamo detto, il testo della Convenzione siglata a rio de janeiro è da intendersi come un quadro appunto, quindi da riempire. La COP ha il compito di riempire quel framework con accordi concreti e definire i meccanismi necessari nella lotta alla crisi climatica.
Nel corso di ben 28 anni di puntuali negoziati ci sono state alcune COP che sono passate alla storia come fallimenti – vedi il quindicesimo summit svoltosi a Copenaghen nel 2009 – altre che semplicemente non hanno prodotto risultati degni di nota (anche appellate conferenze “di transizione”) e alcune che invece sono diventate pietre miliari della cooperazione internazionale per il clima.
Una di queste è stata COP3, svoltasi nel 1997 in Giappone. In quell’occasione, infatti, è stato adottato il Protocollo di Kyoto. L’accordo fu firmato da 180 paesi e stabiliva degli obiettivi quantitativi di riduzione delle emissioni di gas serra, diversi da stato a stato. Alcuni paesi, tra cui la Cina, non erano sottoposti a limiti in virtù del fatto che non si voleva interferire con il diritto allo sviluppo dei paesi emergenti.
Il protocollo entrò in vigore solo nel 2005, ben 8 anni dopo la sua adozione, ma la sua efficacia fu gravemente penalizzata dalle grandi assenze di Stati Uniti e Australia. Nel secondo periodo di validità degli impegni di Kyoto – dal 2013 al 2020 – il protocollo includeva ormai solo 35 paesi, e aveva quindi perso di sostanza.
Il grande passo successivo si è mosso nel 2015 durante la ventunesima Conferenza delle Parti, con l’adozione dell’Accordo di Parigi, di cui abbiamo parlato qui. Il risultato di COP21 è stato salutato come un successo diplomatico storico: un accordo (quasi) globale sul clima. Oggi conta ben 195 ratifiche.
Gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sono ambiziosi: “mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, e proseguire l’azione volta a limitare l’aumento di temperatura a 1,5° C rispetto ai livelli pre-industriali”.
Il meccanismo chiave per l’attuazione dell’Accordo di Parigi, sono i Contributi Determinati a livello Nazionale (NDCs) ovvero dei piani con cui ciascuno stato stabilisce i propri obiettivi di azione climatica e le modalità con cui raggiungerli. Questi piani devono essere presentati, e aggiornati, ogni cinque anni.
Tuttavia, l’universalità della partecipazione è stata ottenuta in parte allargando le maglie vincolanti di Kyoto e questo dà luogo ad alcune critiche – costruttive – sull’efficacia dell’accordo. La determinazione autonoma degli NDCs, ad esempio, dà luogo a differenze sostanziali che possono ostacolare la coordinazione multilaterale degli impegni.
Le COP sono la principale sede di revisione degli impegni presi sotto questi accordi, per valutare i progressi fatti e negoziare soluzioni che concretizzino le raccomandazioni della comunità scientifica. In particolare, alla COP di quest’anno a Dubai si concluderà il primo Global Stocktake (GST), il processo quinquennale che fa il bilancio dei progressi raggiunti dall’adozione dell’Accordo di Parigi.
Crediti foto di copertina: ECCO think thank